Come uno scrittore è arbitro delle proprie ossessioni e delle proprie parole, così anche un artista è artefice dei propri mondi fantastici.
Una grande confessione, ulteriormente rafforzata da Hegel, per il quale l’essenza dell’Arte consiste nel portare l’uomo di fronte a se stesso. E un artista che si pone di fronte a se stesso non può fare a meno di visualizzare la sua vita da un’altra dimensione, mentre emerge in personali forme-colori e segni di vitalità: la ricerca della forma può avere successo soltanto se è condotta come ricerca di contenuto (cit. Arnheim).
Particolare “La Stagione della Follia”
Quando l’immaginazione diventa produttiva? Quando le forme diventano significanti? Significanti di che cosa?
Sono domande che da curatore d’arte mi pongo puntualmente, specialmente quando analizzo una vicenda, una produzione, una vita artistica, lunga e complessa, conclusa e compiuta, per cercare di ricostruire ed individuare, senza pre-giudizi e senza alcuna pretesa di determinare il valore in termini di assoluto, le dinamiche entro cui l’artista ha creato forme.
“…è impossibile racimolare nomi, gallerie e documenti per attestare i fatti avvenuti. Forse non esistono più neanche le gallerie da me contattate. Forse le persone conosciute sono già morte come morti sono quei pochi documenti da me svogliatamente raccolti, perché finiti nei cassetti dimenticati e sotto le macerie del terremoto del ’90 avvenuto qui”
Quando si è dinanzi a un’opera d’arte, dinanzi alla sua “universalità”, colta sin dalla creazione, non esiste un criterio generale su cui basarsi, sarebbe del tutto improduttivo e fuori luogo esprimere giudizi di valore per artisti che avanzano in modo diverso perseguendo -alcuni- un ideale dello spazio piuttosto che del gesto, della forma o del colore -altri- che, come il maestro Franco Condorelli, preferiscono lavorare cercando la migliore collocazione onirica di elementi/oggetti in un repertorio di una suggestione lirica. L’autenticità del maestro si rivela seguendo leggi poetiche soggettive, a chi per i paesaggi, a chi per gli scorci urbani, chi per le chimere e chi per le sue irripetibili “effervescenze metafisiche“.
In fondo il fare artistico è stato sempre – mutatis mutandis – risposta ad una naturale esigenza creativa nata con l’uomo. Come recentemente dichiarato dal prof. Enrico Sesto: Franco Condorelli è stato protagonista di una ricerca fantastica a Lentini, ricordandolo per la sua sterminata produzione, anche molto inquieta, perché Franco non ha mai dormito sulle cose che aveva prodotto […] è stato moderno ma è anche molto “antico”, nella trasfigurazione e nella moltiplicazione della realtà, perché ci ha dato un mare di immagini e di suggerimenti di cose che potremmo essere e che -magari- banalmente non siamo.
Franco Condorelli non ha scelto – come nessuno di noi, d’altra parte – il momento del suo inserimento nella storia: avrebbe potuto trovarsi in sintonia con la sua contemporaneità o trovarla incompatibile col suo temperamento.
E’ come se il gioco di ogni esistenza umana fosse governato da due ruote della fortuna, una che decide le doti naturali che formano il temperamento di un individuo e l’altra che presiede al momento del suo accesso ad una determinata frequenza storica (Cit. George Kubler).
L’opera di ogni artista non è infatti indipendente nè isolabile ma nasce da una ricerca costante di una configurazione mentale con consequenziale realizzazione, o meglio, “venuta al mondo”. Questa riflessione mi fa pensare Franco Condorelli, un infaticabile “costruttore d’immagini”: egli ha cercato di interpretare il mondo, contemplandolo e rispondendo.
Quello che Condorelli ci mostra, seppur organizzato attorno ad alcuni schemi strutturali e contesti urbani, non sempre è un mondo quotidiano: sembra che la sua osservazione cominci dove finisce ogni possibilità di verifica obiettiva e che abbia privilegiato il tempo e lo spazio del mito come elemento “ordinatore” del suo universo, spesse volte condiviso con altri compagni di viaggio, con Gianni Anzalone, con Salvo Fiamma, con Aldo Bilinceri, Pippo Bordonaro e Armando Tinnirello, tra i protagonisti di quella che ancora oggi è ricordata come la “Scuola di Lentini”.
Il phantasieren di Condorelli è caratterizzato da una propensione all’abbandono poetico ed al libero gioco del sogno che invade i luoghi della realtà e della fantasia; da una tintometria infinita di gialli, di verdi e di azzurri che sembrano avere ancora il primato su alcuni elementi che egli inserisce nelle opere. Una storia e un mondo nè totalmente vero, nè falso.
Sembra che Condorelli sia stato -sin da giovanissimo- emancipato dalle illusioni, piuttosto, ha scelto di non emanciparsi dai sogni e per questo non propone soluzioni impossibili alle contraddizioni della realtà ma desidera offrire soluzioni attraverso il suo artistico paradigma di vita.
Ha avuto il coraggio di fare del suo talento la sua professione, pur se a volte la –non comune– ricerca artistica da lui svolta ha causato difficoltà nell’affrontare la vita del reale, nel non affrancarsi dall’effimero, nel non cadere nelle banalità; la facilità e l’umiltà con la quale dialogava poteva travisarsi in una immagine semplicistica di un “pittore comune”, così non era. Invece rinnovava continuamente il ricordo delle sue passeggiate, dei suoi paesaggi, dei suoi studi; con improbabili figure mitologiche dai lunghi capelli, mossi dal vento, così i panneggi e gli alberi; con macigni e pietre e nuvole e personaggi che amabilmente conversano o che con sfrontatezza si scontrano. Tutte caratteristiche di un condominio fantasmagorico di luoghi riconoscibili o diversi, dove costruzioni enormi ed ingombranti non crollano rovinosamente soltanto per forza di fantasia.
Mentre guardo e riguardo le creature che -il maestro Condorelli- ha prodotto, dinanzi ad un campione d’opere prodotte nell’arco di oltre un cinquantennio, ascolto la musica che accompagnava la sua mano e il suo pennino a scorrere su tele e pannelli, atte a contornare figure e forme, stagioni alternate di Figurativo e Astratto; un serbatoio di ricordi che da adesso servirà a mantenere intatta la memoria di un artista fantastico.
Buon viaggio maestro!
CENTRO STUDI NOTARO JAPOCO
(SPAZIO PER LA CULTURA DAL 1947 AL 1957- DAL 2016 AD OGGI)
Il Centro Studi Notaro Jacopo è stato un incredibile sede di ritrovo degli intellettuali della città, costituito nel 1947, su concessione degli spazi dell’ultimo erede Beneventano (Giuseppe Luigi V).
Questa sede, situata un tempo presso i bassi del palazzo, si è subito distinta per l’intensità delle attività e per l’alta qualità delle sue iniziative.
Ad animare la vita di questo centro, per poco più di dieci anni, dal 1947 al 1958, fu Carlo Cicero, punto di riferimento stabile e autorevole, grazie al quale furono avviate le prime ricerche relative agli Scavi Archeologici della città antica, in compagnia dell’insostituibile avv. Alfio Sgalambro.
Incontri, dibattiti, conferenze, concerti, rappresentazioni teatrali, costituivano una stagione ricca ed entusiasmante, conclusa formalmente nel 1957 con la fondazione della Biblioteca Civica “Riccardo da Lentini”, tutt’oggi in via
Oggi il centro studi Notaro Jacopo è stato recuperato dal team di Badia Lost & Found, lasciando immutato il fine principale incentivato dal suo fondatore, ovvero uno spazio culturale sempre aperto, un cuore pulsante di iniziative volte ad accrescere una rinnovata consapevolezza del mondo della conoscenza.
Il nuovo centro studi ospita una biblioteca tematica composta da oltre 1500 volumi di numismatica, oltre 3000 volumi di cultura generale, dalla narrativa alla storia, dall’arte alla geografia e molto altro ancora.
È possibile poter usufruire del centro studi, in ogni periodo dell’anno, per consulenza, ricerche, elaborazioni tesi di laurea, approfondimenti, o più semplicemente per dedicarsi del tempo libero leggendo un libro, sorseggiando un caffè e usufruendo del nostro servizio gratuito di wi-fi.
“BEDDI RI NOTTI”
Cos’altro ci riserva la dimora dei Beneventano?
È una Sicilia incredibile quella che prenderà forma e suono davanti agli occhi degli spettatori. Un passato molto lontano si farà breccia nel presente senza tempo della narrazione a più voci come un vivido sogno comune ad occhi aperti.
Donne e uomini taumaturghi e veggenti, forse streghe e stregoni, anche ciarlatani, spiriti femminili vaganti, tesori incantati, con un variegato repertorio di invocazioni e preghiere e proverbi, diventano la materia ancora viva della narrazione che si pone tra il reale e il fantastico, fra storia, mito e leggenda. Quello che ne risulta è un paesaggio di immagini che desta curiosità, che riesce ad incantare, che trasporta in un’atmosfera sognante, condizione di un viaggio emotivo nei ricordi personali e non.
Uno spettacolo a pieni sensi. Un viaggio alla riscoperta di un’antica radice comune, di un passato ancor vivo nel presente di un’isola che è come un piccolo continente policromo.
BENEVENTANO NIGHT EXPERIENCE
Chi ci attende oltre gli antichi battenti?
I portoni dell’antica dimora sono chiusi: da molto tempo ormai i suoi proprietari l’hanno lasciata, alcuni di loro non appartengono più a questo mondo…
Eppure suoni, voci, musica, segni di un passato echeggiano nelle antiche sale, si manifestano.
Lungo le fughe prospettiche dei battenti, tra i corridoi, che conducono di sala in sala, appaiono le ombre dei Beneventano.
Chi c’è ad attendervi?
Che sensazione dà l’essere accompagnati attraverso il fastoso Palazzo dai personaggi che un tempo lo abitarono? Dai preziosi ritratti alle pareti vi giungeranno le voci di chi ha abitato un luogo magnetico.
L’obiettivo di questo evento è restituire una rinnovata e tangibile anima dei luoghi, creando un momento di medi(t)azione con le memorie, con le storie, per aiutare i visitatori a comprendere quanto complessa e storicamente significativa fu la realtà dei baroni Beneventano della Corte.
IL MUSEO
(POLO DEL CONTEMPORANEO DAL 2016)
Nel cuore storico di Lentini, gli spazi del settecentesco Palazzo Beneventano, ospitano il polo d’arte contemporanea che trae il proprio nome dall’edificio che lo ospita, il Palazzo Beneventano, nell’area del quartiere Badia, in cui sorgeva l’antico Monastero delle clarisse e dove oggi insiste la Chiesa della Santissima Trinità e San Marziano.
Dell’antico complesso architettonico del palazzo Beneventano, rimangono oggi solo degli spazi vuoti, dai bassi al piano nobile, privi di ogni arredo e suppellettili, a seguito di innumerevoli sacchi verificati negli anni dell’abbandono della struttura.
Le ampie sale vuote, lontane ormai dall’antico utilizzo, rappresentano lo spazio ideale per il museo civico d’arte contemporanea che offre ai visitatori una visita interattiva e inclusiva.
Dal 2016, grazie al recupero sia strutturale che culturale da parte degli operatori di Badia Lost & Found, lo spazio museale ha ospitato esposizioni temporanee: numerose le expo, i vernissage e le performance che hanno visto il coinvolgimento attivo di cittadini, studenti, artisti:
Domenico Pellegrino, Fabio Modica, Momò, Calascibetta, Stefano Maria Girardi, Gesualdo Prestipino, Benedetto Poma, Alessandro La Motta, Angelo Barile, Loredana Catania, Easy Pop, Max Ferrigno, Stefano Gentile, Hackatao, Marina Mancuso, Paolo Marchesini, Giancarlo Montuschi, Neirus, PAO, Nina For The Dogs, Massimo Sirelli, Gianni Andolina, Gui Zagonel, Doris Bouffard, Johanne Ricard, Marta Lorenzon, Antonio Sciacca, Onofrio La Leggia, Giuseppe Bombaci, Cristina Costanzo, Alessandro Costagliola, Federica Orsini, Salvo Muscarà, Roberto Collodoro, Giovanna Pistone, Nicola Alessandrini, Agnes Cecile, Doriana Pagani, Ludovico Costa, Gianluca Militello, Corrado Inturri, Giuseppe Gusinu, Mauro Patta, Peppe Vaccaro (in aggiornamento)
Il museo è il testimone di una rigenerazione di spazi pubblici che ha reso il territorio orientale della Sicilia un crocevia di tutte le arti contemporanee, volto a studiare, a sperimentare e a documentare il passato attraverso una nuova sensibilità, grazie ai molteplici linguaggi del contemporaneo.
IL PALAZZO BENEVENTANO DI LENTINI
(dal 1976 Palazzo Comunale, dal 2016 Polo Culturale e Luogo delle Arti Contemporanee)
L’edificio è fra i più importanti monumenti della Città di Lentini, non solo per la sua grandezza e per il suo sfarzo ma anche per i personaggi che ne erano i proprietari e per coloro che hanno contribuito alla sua realizzazione. Due furono i protagonisti del compimento di quest’opera, il barone Giuseppe Luigi Beneventano e l’architetto Carlo Sada, che modificarono e ingrandirono l’edificio “a sontuosa villa meglio confacente nello stile ad una villa baronale”. Siamo alla fine del IXX secolo, il periodo della “rinascita” del Palazzo, che ancora oggi è una eterogenea testimonianza di molti secoli di storia della Città di Lentini.
Nato a Carlentini il 13 novembre 1840 da una famiglia nobilissima, i suoi avi furono Principi alla Corte di Federico II di Svevia, dagli Orsini Orsilei, Giuseppe Luigi Beneventano fu Consigliere Comunale, poi Sindaco ed infine Senatore del Regno d’Italia. Personaggio di gran temperamento, contribuì alla rinascita dell’agricoltura e dell’economia in genere della città. Proprietario di molti palazzi fra cui appunto l’edificio qui davanti, nel febbraio del 1893, il Barone, incaricò uno degli architetti più famosi del tempo, l’architetto Carlo Sada, progettista di numerosi monumenti in Italia, fra cui il Teatro Massimo di Catania, dedicato a Vincenzo Bellini. Il Sada presentò, in prima istanza, un progetto che riguardava la totale trasformazione degli edifici esistenti e costituiti da due blocchi staccati tra loro: il primo blocco, costituiva la parte più antica, ove risiedeva la zona “nobiliare”, l’altro blocco, già area abitativa rupestre, dove vi erano i magazzini, le stalle, i depositi etc.
Il progetto, che prevedeva due piani fuori terra, era incentrato sull’adeguamento della parte più antica, sul lato nord-est. Successivamente su richiesta della famiglia Beneventano, l’architetto eseguì diverse varianti al progetto principale, fino alla scelta che è più vicina alla soluzione odierna, che prevede un solo piano fuori terra per la parte nord dell’edificio, quella che affaccia su questa strada: Via San Francesco d’Assisi, un tempo Via Monastero. I lavori però furono iniziati, ma mai completati; la tipologia dell’impianto edilizio, deriva dagli edifici turriti, la sua organizzazione esterna dei cortili è di forte richiamo allo stile mediterraneo.
Da questo ingresso, posto dinanzi Salita Puccetti, ed orientato verso nord, si accede alla Corte Principale, dai cui lati ci si immette all’Info Point, alla Sala Conferenze, al Centro Studi, alle Sale Expo, all’Osservatorio Astronomico e ad altre aree di servizio.